Diversità - un tesoro prezioso, ma di difficile approccio
di Davide Caproni
“Il mondo è bello perché vario”. Una frase che in italiano si sente dire spesso, soprattutto in senso non letterale. La si usa per evidenziare come la diversità, intrinseca alla nostra vita, abbia la capacità di dare a ogni cosa quella bellezza e quelle sfumature che rendono interessante tutto ciò che vediamo, sentiamo e proviamo. Spesso la si usa in modo un po’ ironico, specialmente quando la diversità porta ad aver a che fare con le opinioni e le idee altrui. Pensieri e pareri che sono diversi appunto, ma che, in caso contrario, renderebbero il mondo più monotono e tedioso.
È facile capirne il senso letterale. Il nostro pianeta è diverso in tutti i sensi: ambienti e climi differenti, ma anche culture e civiltà agli antipodi. Tutte varietà che nella storia hanno portato (e tuttora portano) a inevitabili equivoci e incomprensioni. Se si vuole ovviare a ciò, il diverso va conosciuto, compreso, e talvolta studiato approfonditamente. Nel corso della sua esistenza, l’uomo ha sempre cercato di trovare una spiegazione a quello che non conosce, perché, si sa, quello che non si conosce spaventa. Dare una spiegazione però necessita impegno, lo studio necessita tempo e dedizione, e la comprensione necessita fatica.
Una soluzione più facile e più veloce (una sorta di “scorciatoia”) è generalizzare, soprattutto se si tratta di culture: quando parliamo di cliché o di stereotipi intendiamo proprio questo. Se ne sentono di tutti i colori, e ce ne sono per tutte le culture.
Tantissimi sono quelli legati all’Italia: da quelli sul cibo (secondo cui noi Italiani siamo grandi mangiatori di pasta e bevitori di caffè) a quelli legati allo sport (secondo cui siamo tifosi di calcio fin troppo “affiatati”), passando per quelli che ci descrivono come persone passionali, rumorose, disorganizzate e ritardatarie. Da italiano, posso dire che molti di questi cliché sono fondati, mentre altri meno.
Ma come possiamo biasimare coloro che si basano esclusivamente sugli stereotipi per conoscerci? Non lo facciamo forse anche noi?
A questo punto ci verrebbe da chiederci: come possiamo evitare di cadere nella generalizzazione? Come abbiamo già detto, è necessario “studiare”, che in questo caso equivale a dire: “viaggiare e buttarsi a capofitto nella cultura del popolo X o del paese Y”. Un po’ come ha fatto la nostra ospite, Miriam Bunnik. Nata nei Paesi Bassi, ha studiato l’Italia, la sua lingua e la sua cultura, sia sui libri all’Università di Utrecht, sia sulla propria pelle, viaggiando in lungo e in largo per tutto lo Stivale. Affascinata da ogni aspetto legato al Bel Paese, se ne è innamorata così tanto che si è persino sposata con un italiano.
Tutto quello che ha imparato lo ha scritto nel suo libro Koffiebars en carabinieri. Ventiquattro capitoli in cui si parla non solo di stereotipi, ma anche di aspetti legati alla storia e alle tradizioni poco conosciute del nostro paese. Nel leggerlo, devo ammettere che certe cose non le conoscevo neanch’io. O per meglio dire, le ho sempre viste sotto un’altra luce, da un punto di vista diverso: quello di una persona diversa da me, che viene da una cultura diversa dalla mia, e che ha studiato tutte le cose appartenenti a casa mia, l’Italia, in maniera diversa da come io le ho imparate vivendoci in mezzo. Tutto questo è stato reso possibile proprio grazie alla diversità. Perché, si sa, il mondo è bello perché vario…
È facile capirne il senso letterale. Il nostro pianeta è diverso in tutti i sensi: ambienti e climi differenti, ma anche culture e civiltà agli antipodi. Tutte varietà che nella storia hanno portato (e tuttora portano) a inevitabili equivoci e incomprensioni. Se si vuole ovviare a ciò, il diverso va conosciuto, compreso, e talvolta studiato approfonditamente. Nel corso della sua esistenza, l’uomo ha sempre cercato di trovare una spiegazione a quello che non conosce, perché, si sa, quello che non si conosce spaventa. Dare una spiegazione però necessita impegno, lo studio necessita tempo e dedizione, e la comprensione necessita fatica.
Una soluzione più facile e più veloce (una sorta di “scorciatoia”) è generalizzare, soprattutto se si tratta di culture: quando parliamo di cliché o di stereotipi intendiamo proprio questo. Se ne sentono di tutti i colori, e ce ne sono per tutte le culture.
Tantissimi sono quelli legati all’Italia: da quelli sul cibo (secondo cui noi Italiani siamo grandi mangiatori di pasta e bevitori di caffè) a quelli legati allo sport (secondo cui siamo tifosi di calcio fin troppo “affiatati”), passando per quelli che ci descrivono come persone passionali, rumorose, disorganizzate e ritardatarie. Da italiano, posso dire che molti di questi cliché sono fondati, mentre altri meno.
Ma come possiamo biasimare coloro che si basano esclusivamente sugli stereotipi per conoscerci? Non lo facciamo forse anche noi?
A questo punto ci verrebbe da chiederci: come possiamo evitare di cadere nella generalizzazione? Come abbiamo già detto, è necessario “studiare”, che in questo caso equivale a dire: “viaggiare e buttarsi a capofitto nella cultura del popolo X o del paese Y”. Un po’ come ha fatto la nostra ospite, Miriam Bunnik. Nata nei Paesi Bassi, ha studiato l’Italia, la sua lingua e la sua cultura, sia sui libri all’Università di Utrecht, sia sulla propria pelle, viaggiando in lungo e in largo per tutto lo Stivale. Affascinata da ogni aspetto legato al Bel Paese, se ne è innamorata così tanto che si è persino sposata con un italiano.
Tutto quello che ha imparato lo ha scritto nel suo libro Koffiebars en carabinieri. Ventiquattro capitoli in cui si parla non solo di stereotipi, ma anche di aspetti legati alla storia e alle tradizioni poco conosciute del nostro paese. Nel leggerlo, devo ammettere che certe cose non le conoscevo neanch’io. O per meglio dire, le ho sempre viste sotto un’altra luce, da un punto di vista diverso: quello di una persona diversa da me, che viene da una cultura diversa dalla mia, e che ha studiato tutte le cose appartenenti a casa mia, l’Italia, in maniera diversa da come io le ho imparate vivendoci in mezzo. Tutto questo è stato reso possibile proprio grazie alla diversità. Perché, si sa, il mondo è bello perché vario…